Durante gli anni ‘80 la pittura tornò a
essere un’esplosione di colori e di figurazioni. New York – palcoscenico del
collezionismo internazionale – era la meta di molti artisti che vi si
trasferirono per esporre a fianco di Andy Warhol, Keith Haring e Jean-Michel Basquiat.
Richard Pagán fece il percorso inverso,
e da Manhattan e dagli Hamptons giunse a Montichiari per incontrare un’amica e
poi ripartire alla volta delle capitali europee. Era il marzo 1988.
L'artista trentaquattrenne aveva
conseguito un prestigioso riconoscimento da parte della Pollock-Krasner Foundation e voleva intraprendere il classico tour
nel vecchio continente.
Invece scoprì un mulino abbandonato e
decise di fermarsi, così sfruttando il grande spazio come un atelier. Lui,
portoricano intriso dei colori dei Caraibi e delle luci di New York, prese ad
apprezzare la campagna della Bassa, i riflessi del Garda, i boschi delle Alpi e
le città d’arte.
La sua pittura cambiò registro, e pur
rimanendo fedele all’iniziale impronta dell’Espressionismo Astratto – da Willem
de Kooning allo stesso Jackson Pollock – si aprì a molte altre suggestioni: le
tonalità en plein air, il disegno e
il minimalismo. Nel polveroso mulino nacquero le grandi tele, i fogli di vario
formato, le tempere squillanti, le sculture. Un laboratorio più simile al
granaio di Roy Lichtenstein, grande amico di Richard Pagán, che non a uno
studio per opere da cavalletto.
Il rinvenimento di una necropoli nel
territorio di Calvisano diventò la fonte ispiratrice degli ultimi lavori, quasi
una riflessione sul senso della morte e sulla natura misteriosa dei luoghi. Ed
ecco che le tele e i disegni si riempirono di simboli primari: il cerchio, le
nicchie, i vortici minacciosi, i corpi privi di vita (o forse addormentati in
un sonno atavico).
A distanza di trent’anni, il Museo Lechi
di Montichiari ricorda l’artista portoricano presentando più di sessanta opere
realizzate durante il suo soggiorno italiano. E’ una sorta di racconto che si
sviluppa nell’arco di dodici mesi, il tempo trascorso nel mulino-atelier:
dall’arrivo in paese alla tragica morte nel marzo 1989. Con attenzione
filologica sono esposte le principali realizzazioni (altre sono conservate nel Museo de Arte Contemporáneo de Puerto Rico e
presso collezionisti americani).
E’ soprattutto un omaggio da parte degli
amici bresciani, che fin da subito furono catturati dalla visione poetica
dell’artista e che con lui condivisero un’intensa stagione di vita, quando i
ponti tra mondi lontani, tra culture e orizzonti diversi, all’improvviso
diventarono percorribili e come tracciati dall’inizio dei tempi.
Mostra a
cura di Giovanni Madrigali e Antonio Rapaggi
Apertura fino al 24 febbraio 2019
Orari: da mercoledì a sabato 10-13/14.30-18 domenica 15-19
Informazioni: 030 96 50 455
info@montichiarimusei.it
Orari: da mercoledì a sabato 10-13/14.30-18 domenica 15-19
Informazioni: 030 96 50 455
info@montichiarimusei.it
Gracias por incluir info de esta importante exhibicion. Tal parece que los medios noticiosos en PR se han olvidado mientras Italia (que lo tuvo por tan poquito tiempo) lo valora y honra. Nadie es profeta en su propio pueblo.
ResponderBorrarLastimosamente cierto.
ResponderBorrar